Venerdì 21 gennaio alle ore 18.30 verrà presentato il libro Chiara Lubich in dialogo con il mondo. Prospettive interculturali, linguistiche e letterarie nei suoi scritti, pubblicato nella Collana «Iride» di critica, didattica e testi letterari per i tipi della Casa Editrice Rubbettino.
Nell’intervista, Regina Célia Pereira da Silva, Docente di Lingua Portoghese presso l’Università per Stranieri di Siena, tratta delle sfide interpretative dei testi mistici.
- Che tipo di atteggiamento è necessario per tradurre, ma anche per leggere e comprendere, il linguaggio che descrive le esperienze spirituali? Nel caso specifico di Chiara Lubich quali sono, secondo lei, le sfide interpretative di un testo come quello del “Paradiso’49”?
Prima di tutto volevo dire che l’atteggiamento richiesto ad un traduttore contiene in sé stesso quello del lettore e del critico letterario. Difatti, l’atto traduttivo implica la lettura, comprensione e l’interpretazione globale dell’opera oggetto di traduzione, qualsiasi sia la sua natura. Nel mondo contemporaneo, guidato dalla globalizzazione immediata e assetato permanentemente di informazione, il circolare costante di messaggi importanti e meno importanti, nulli e a volte anche nefasti, nei social media, networks e diverse piattaforme rende la traduzione sempre più importante.
L’etimologia della parola tradurre – dal latino traducĕre – si divide in due elementi: tra[ns] cioè ‘oltre’ e ducĕre cioè ‘portare’, quindi, trasportare, trasferire in un’altra lingua. Inoltre, l’atto traduttivo, è radicato nel campo della comunicazione, voglio dire, nella concretizzazione di una relazione interpersonale con l’altro, solo che, il traduttore, è consapevole che il suo interlocutore non è un singolo individuo, ma una collettività, un’intera comunità che fruirà direttamente dalla sua traduzione, in modo da poter penetrare profondamente nella narrativa dell’autore.
Per chi studia la semantica del linguaggio è, oggi, chiaro che il linguaggio ha una dimensione specifica, ben determinata, la quale ci rimanda al contesto nel quale nasce, voglio dire che ci rimette alla situazione comunicativa vissuta. Insomma, non basta parlare la stessa lingua per capirsi, ma è necessario penetrare nel significato profondo della parola. Sappiamo che i rapporti umani trasportano con sé valori, significati e espressioni ambivalenti che s’incrociano costantemente e si collegano tra loro in modo diverso a seconda dei contesti che si vivono, generando, a volte, malintesi e perfino sensi doppi. Infatti, le parole sono lo specchio più diretto e immediato del modo in cui vediamo e sperimentiamo il mondo. Ogni concetto lessicale è frutto di una esperienza vissuta, di una visione cognitiva riguardante una situazione concreta.
Anche nel campo della traduzione ci possono essere ambiguità e sensi doppi, che il traduttore deve analizzare e chiarire e se ci riferiamo alla traduzione di testi mistici, l’analisi del linguaggio usato dall’autore e mistico nel proprio tempo, spazio e contesto è fondamentale. Il mistico vuole trasmettere, con le parole, le esperienze vissute con il divino, tuttavia, spesso, la propria lingua si rivela inefficace, l’esperienza indicibile e scaturisce una specie di lotta che rompe con il canone linguistico ufficialmente riconosciuto, quindi, crea nuove parole e forme linguistiche. Infatti, il patrimonio linguistico specifico del mistico non si trova nel linguaggio astratto della speculazione, ma in quello che trasmette sentimenti ed emozioni. Quindi, per capire profondamente le parole e i testi mistici, ed in particolare, il Paradiso ’49, è importante iniziare dall’interpretazione e dalla decifrazione del testo mediante un’analisi linguistica, strutturale e semantica in modo da arrivare ad una traduzione vera e idonea.
L’uso di parole ed espressioni di Chiara Lubich come uno, trinitizzazione, essere nulla, raccoglierci nel suo Cielo, “è e non è nel medesimo tempo”, se isolate dal proprio contesto non possono essere comprensibili al lettore senza ambiguità. La traduzione di un testo così poetico e simbolico, come è il Paradiso ’49, deve tenere conto dell’intera opera, delle note ad essa associate dalla stessa autrice, che (ri)spiegano il concetto, nozione o idea espressa e del contesto storico, politico, religioso, sociale e culturale nel quale nasce, quali strumenti necessari per la ricostruzione dell’evento vissuto e per la decostruzione linguistica delle relazioni intertestuali.
Non si possono, quindi, prendere delle frasi e/o dei brani singoli, interpretarli e tradurli facendoli diventare fruibili! Non si capirebbero. Il traduttore deve saper decodificare e capire segni e simboli appartenenti ad un determinato contesto catturando il senso profondo per poi trasferirli nel testo tradotto.
- Per quanto riguarda le traduzioni dei testi di Chiara Lubich, in che modo il testo di arrivo può rispettare il testo di partenza senza creare imprecisioni? E come si deve porre un traduttore nei confronti di testi di questo tipo?
La finalità della traduzione di un testo è quella di renderlo fruibile ad un determinato pubblico che non conosce la lingua di partenza e forse neanche il sistema culturale nel quale è stata redatta la stessa narrazione. Il traduttore che si accinge a volgere il testo in un’altra lingua, deve conoscere profondamente la cultura dove la sua traduzione sarà pubblicata e tener conto che non può, assolutamente, dissociarsi dalla cultura inerente al testo originale. Il processo traduttivo, infatti, costituisce una pratica interculturale complessa che avviene all’interno di un determinato sistema linguistico e culturale, nell’intersezione tra cultura di partenza e cultura d’arrivo. Non si tratta soltanto di un semplice processo linguistico, ma soprattutto di un processo culturale, visto che l’atto di traduzione è un’azione umana dotata di propositi e intenzioni inseriti inevitabilmente in un sistema culturale, processo al quale tutto l’atto di traduzione si deve sottomettere. Diventa allora imprescindibile l’applicazione del metodo interculturale (E. GENTZLER, Teorie della traduzione. Tendenze contemporanee. Torino: Utet, 1998, p. 7).
La traduzione del Paradiso ’49, in particolare, richiede che il bagaglio di vita del traduttore che si avvicina al testo contenga esperienze convergenti e coerenti con quelle di Chiara Lubich, che il rispettoso approccio al testo sia animato da un’attitudine interpretativa propositiva, che conosca approfonditamente la vita dell’autrice, la realtà che delinea il titolo Paradiso ’49, la metodologia di Chiara e quanto da lei suscitato. Infatti, le parole di Chiara non provengono da una semplice teoria religiosa, ma sono frutto di una vita reale, concreta, scaturita dall’incontro con il divino. Soltanto se il traduttore fa la stessa esperienza del donarsi dicendo, riuscirà a capire tali realtà, vivendole, non singolarmente, ma in modo collettivo. Voglio dire che, tradurre Chiara, è tradurre gli scritti di una mistica con tutti gli aspetti connessi e il contesto fisico e spirituale nel quale si sono realizzati. È compito del traduttore, in una relazione di rispetto e amore, rendere la narrazione originale accessibile al lettore a cui si destina la traduzione. Difatti, il dialogo a tre, autore, traduttore e fruitori del testo d’arrivo, presuppone una nuova dinamica che è tipica di Chiara Lubich Tale dialogo non nasce da un ‘di più’, da un ‘troppo’ o da un ‘pieno’, ma anzi, nasce da un bisogno, da una privazione, da un vuoto, da un non, e ciò significa penetrare nella necessità dell’altro per condividerla e se possibile fare il primo passo. Esige umiltà e amore. Il rapporto autore-traduttore s’innesta nella nuova comunicazione basata su quel nulla che, perché vuoto accoglie totalmente l’altro con la sua identità e bagaglio culturale. Il traduttore o il lettore entra nel testo, nell’autore e acquisisce la sua esperienza che lo arricchisce.
Nel testo mistico, oltre alla parola, al significato di una frase o al rapporto tra lemmi e narrazione, c’è un altro elemento che va tradotto durante il processo di traduzione, un elemento che esiste prima della lingua e che va oltre la lingua, qualcosa che può essere ripreso in tutte le lingue senza che si affievolisca la sua forza intrinseca. Il testo mistico contiene già tra le righe la sua stessa traduzione anche se virtuale e, in modo particolare, la traduzione dei testi di Chiara Lubich; si tratta di un lavoro che richiede un confronto con l’altro, non si tratta semplicemente di un lavoro di traduzione individuale, ma comunitario. (Si veda un esempio in Chiara Lubich in dialogo con il mondo, Rubbettino Editore, 2021, pp. 285-290). Ogni traduttore all’interno del proprio gruppo di lavoro è attivo e partecipe, ma soltanto se comunica la propria idea, cioè, se la dona, completamente, e se pronto a perderla, si annulla e la ritrova restituita dal proprio gruppo di lavoro. Conseguentemente, diventa essenziale ciò che l’altro mi restituisce perché, se il pensiero come un raggio parte da me verso l’altro e, l’altro, per me è uno specchio, trasparenza del divino, allora, mi riflette quella Luce e me lo restituisce purificato da attaccamenti personali, chiarito insomma. Questa è, quindi, l’esigente esperienza personale richiesta al traduttore che, se fatta in modo collettivo, reciproco e non egemonico, in modo sorprendente, il ‘gruppo-traduzione’ genererà il testo d’arrivo (TA) che sarà espressione collettiva, in cui tutti si ritrovano completamente perché è formato da quelle unità lessicali tipiche di quella determinata cultura, espresse con quel particolare patrimonio linguistico.
La traduzione possiede, quindi, una dimensione antropologica che si basa sulla profonda conoscenza reciproca. Se non avviene il rapporto tra traduttore e autore, l’esperienza di traduzione non esiste perché l’atto traduttivo si realizza soltanto in un senso e la pratica di traduzione è vissuta in modo passivo. D’altro canto, se tale interazione avviene, si scatena un intenso e reciproco scambio di conoscenze e esperienze che facilita la traduzione. Tale relazione non avviene fisicamente, ma tramite lo studio del testo fonte e l’interpretazione del linguaggio. Si tratta di una nuova metodologia di traduzione che si basa sulla profonda conoscenza reciproca e che presuppone il rispetto, la fiducia completa nell’altro, il profondo ascolto, il silenzio sia della mente che del cuore.
Regina Célia Pereira da Silva
Docente di Lingua Portoghese presso l’Università per Stranieri di Siena
Post-Doc in Rapporti controversi con l’Altro: la Compagnia di Gesù di Goa e il clero nativo nel seicento.
Dottorato in Letterature Moderne e Studi Filologici e Linguistici.
Specializzazione in Traduzione, Strategie e Tecnologie di Informazione Linguistica.
Membro Associato del Progetto Internazionale Pensando Goa, Uma biblioteca particular e del Progetto Strategie Traduttive.
Membro del Gruppo di Studio Linguistica Filologia e Letteratura della Scuola Abbà.
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Il volume Chiara Lubich in dialogo con il mondo. Prospettive interculturali, linguistiche e letterarie nei suoi scritti è disponibile sul sito di Rubettino Editore
Diretta streaming della presentazione del libro con traduzione in Inglese, Spagnolo, Portoghese
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