Venerdì 21 gennaio alle ore 18.30 verrà presentato il libro Chiara Lubich in dialogo con il mondo. Prospettive interculturali, linguistiche e letterarie nei suoi scritti, pubblicato nella Collana «Iride» di critica, didattica e testi letterari per i tipi della Casa Editrice Rubbettino.

Nell’intervista che segue, il direttore Prof. Rocco Mario Morano pone l’accento sulle ragioni per le quali ha deciso di accogliere questo testo nella collana «Iride» da lui fondata e diretta, e offre una riflessione su uno dei valori che particolarmente emerge dal libro: la parola come mezzo che conduce a un ideale, all’Unità, capace di entrare in dialogo con il mondo.

  • Quali sono le ragioni per le quali ha deciso di accogliere questo testo nella collana «Iride» da Lei fondata e diretta per i tipi dell’Editore Rubbettino?

La proposta a suo tempo pervenutami dal Centro Chiara Lubich per il tramite del fraterno amico Professor Vincenzo Crupi, esaminata con la dovuta attenzione, è stata accolta di buon grado e senza riserva alcuna in quanto a pieno titolo giudicata perfettamente rispondente alle linee guida della collana, giunta al 65° volume, inaugurata da Glauco Cambon nel lontano 1988 con una pregevole monografia su William Carlos Williams e con l’intento precipuo di «diventare un punto di incontro fra studiosi italiani e stranieri (o operanti all’estero) anche per rispondere ad un’esigenza di informazione dialettica» su quanto di meglio si produce nel campo della critica letteraria, della linguistica e della filologia, favorendo allo stesso tempo «l’intersezione di culture diverse appartenenti anche a mondi distanti tra loro» mediante uno studio comparato aperto e problematico che predisponga «al dialogo, al confronto, agli scambi di esperienze», all’uso degli strumenti più idonei a garantire l’interpretazione corretta di testi specifici e la pratica di un metodo interdisciplinare da intendere quale antidoto unico ed efficace all’impiego pernicioso di formule fisse e/o di schemi vuoti gabellati per imprescindibili e canonici.
In tale rappresentazione prospettica rientrano due testi di recente apparsi nella collana «Iride» con l’intento deliberato di apportare nuova linfa di carattere critico e metodologico agli studi di letteratura e poesia religiosa andando oltre – pur senza prescinderne, naturalmente – la tipica identificazione delle fonti bibliche e l’individuazione del valore estetico delle opere degli autori prese in esame. E ciò grazie all’impiego aggiuntivo di competenze specifiche dispiegate nel campo filosofico e teologico, a garanzia dell’applicazione di validi strumenti ermeneuti di natura interdisciplinare che contribuiscono a loro volta ad utilizzare al meglio i principi-cardine della distinzione da Genette effettuata tra intertestualità e transtestualità. Mi riferisco specificamente ai seguenti volumi apparsi prima di questo su Chiara Lubich: La Trinità di Dante. Dalla «Vita Nuova» alla «Divina Commedia» di Vincenzo Crupi e Andrea F. Calabrese; e “Ci restano le citazioni”, l’opera di Agostino Venanzio Reali, a cura di Anna Maria Tamburini e Bruno Bartoletti.
Il volume su Chiara Lubich, curato con diligenza e competenza da Anna Maria Rossi e Vincenzo Crupi, aggiunge al filone di ricerca sopra delineato il pregio della vastità e profondità di analisi riscontrabile nei saggi dei 25 studiosi di varie parti del mondo che hanno messo a frutto le proprie esperienze di lettura e le proprie sensibilità e competenze nei molteplici settori disciplinari oggetto di studio.
A lettura ultimata, dall’esame accurato dei suoi discorsi e dei suoi scritti, affiora un ritratto a tutto tondo della fondatrice dei Focolari, ritratto che acuisce il desiderio, per non dire l’ansia dell’attesa, di potersi ‘abbeverare’ direttamente alla sua fonte quando usciranno le Opere complete, programmate in quattordici volumi.

  • La parola come mezzo che conduce a un ideale, all’Unità, capace di entrare in dialogo con il mondo. È questo uno dei valori che il libro mette in luce sugli scritti di Chiara Lubich. Cosa pensa in proposito?

‘Immergere’ in una nuova dimensione l’Idea dell’eternità rapportandola costantemente al tempo e alla storia intesi quali inveramento e rivelazione di un disegno provvidenziale che li trascende, significa per Chiara Lubich percorrere all’inverso, in apparenza e per ‘paradosso’, il cammino arduo e difficile che testimonia la fede in Dio e la speranza dell’altezza delle creature sensibili, una fede e una speranza da ‘vivere’ e avvertire con quotidiana e attiva partecipazione, penetrando, come si legge nelle Meditazioni, «nella più alta contemplazione» per rimanere «mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo» e una volta «fatti partecipi dei disegni di Dio sull’umanità, segnare sulla folla ricami di luce e, nel contempo, dividere col prossimo l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie».
Da qui deriva l’attenzione particolare rivolta da Chiara a ‘modelli’ di scrittura resi di volta in volta consoni all’esigenza primaria di comunicare i propri moti interiori e il proprio pensiero permeati di una elevata spiritualità e di una grande religiosità che caratterizzano lo stile dei suoi scritti. E da qui deriva inoltre l’esigenza avvertita di sottoporre i suoi testi a revisioni continue per consentire a chi ne fruisce di penetrarne i significati più profondi in tutte le sfumature mediante un’opera assidua di affinamento degli strumenti espressivi, un affinamento che non prescinde mai dalle contingenze che li hanno generati né dal desiderio vivo e dalla gioia immensa di far dono della Parola come atto d’amore a tutti gli uomini di buona volontà del mondo intero, indipendentemente dal loro credo religioso, politico e filosofico.
È questo un atto di umiltà che, attraverso le parole e le opere, esalta e invera allo stesso tempo gli insegnamenti mirabilmente contenuti nella «preghiera di Gesù al Padre per i discepoli e i futuri credenti» e, in particolare, nei due seguenti versetti del Vangelo secondo Giovanni: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 20-21).
E Chiara ha attestato che le parole evangeliche, sin dagli inizi della esperienza spirituale con le sue prime compagne, «balzavano agli occhi della nostra anima con luminosità insolita», offrendo «realmente parole di vita, da potersi tradurre in vita» (C. Lubich, Vivere. La parola che rinnova). Qui la prosa, divenuta poetica, richiama alla mia memoria, per associazione spontanea, la celebre e mirabile lirica di Emily Dickinson: «Una parola muore / quando è detta, / taluni dicono. / Io dico che proprio / quel giorno / comincia a vivere».
E ancora per associazione spontanea ricordo che il padre cappuccino Agostino Venanzio Reali (1931-1994) – poeta, biblista, pittore e scultore ammirato dal grande filologo e critico Giovanni Pozzi (1923-2002) il quale sul suo confratello, tra il 1999 e il 2002, ha scritto pagine memorabili raccolte postume in un aureo libretto dal titolo La poesia di Agostino Venanzio Reali, apparso nel marzo del 2008 per i tipi della Casa Editrice Morcelliana di Brescia –, nel primo e nel settimo di «8 frammenti in giro per il mondo», composti in una prosa ritmica e immaginifica e apparsi nel 1987 nel «Messaggero Cappuccino», ha fittiziamente attribuito a San Francesco, rivolto ai «fratelli suoi poeti», le seguenti meditazioni: «[…] Per riavere il dono di conferire il nome esatto alle cose, è necessario che Dio vi tolga la parola e che torniate alla nudità di Adamo. Tornerete a dire parole “odorifere” anche voi. […]» (Dal luogo di Bevagna, 13 marzo dell’anno del Signore 1212, Frate Francesco, minimo tra voi e servo); «Né il tutto, né il nulla è dato all’uomo dire pienamente. La pretesa d’imprigionare la Parola nelle parole conduce alla mutezza della pagina bianca. […]» (Dalle Carceri di Assisi, 30 agosto 1226, Frate Francesco, il più piccolo dei frati) (A. V. Reali, 8 frammenti in giro per il mondo, in «Messaggero Cappuccino», 1987, pp. 155-157; ora in Id., Il pane del silenzio. Articoli dal 1975 al 1993, a cura di Giuseppe De Carlo e Dino Dozzi, Castel Maggiore [Bologna], Book Editore, pp. 253-256: 253, 255).
Con questo riferimento alla testimonianza di umiltà e di fede di padre Agostino Venanzio Reali resa per il tramite del fondatore dell’Ordine dei frati minori con un atto d’invenzione creativa di estrema suggestione che assume la valenza di una vera e propria dichiarazione di poetica, mi sia concesso di tributare onori e lodi a Chiara Lubich che, nella lettera del 6 agosto 1947 indirizzata proprio da Assisi a padre Raffaele Massimei, provinciale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali della Provincia romana, scriveva: «Stamane, alla tomba del Padre S. Francesco , ho pregato per Lei, come ogni mattina, ma oggi particolarmente ho chiesto per Lei tutta la Luce dell’Unità. Oh! L’Unità, l’Unità! Che divina bellezza! Non abbiamo parole umane per dire che cosa sia! È: Gesù!» (C. Lubich, Lettere dei primi tempi (1943-1949). Alle origini di una nuova spiritualità, a cura di Florence Gillet e Giovanni D’Alessandro, Prefazione di François-Marie Léthel, ocd, Roma, Città Nuova, 2010, p. 134).

Il Prof. Rocco Mario Morano è fondatore e direttore della rivista «Campi Immaginabili» e della Collana «Iride» di critica, didattica e testi letterari per i tipi della Casa Editrice Rubbettino.

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Il volume Chiara Lubich in dialogo con il mondo. Prospettive interculturali, linguistiche e letterarie nei suoi scritti è disponibile sul sito di Rubettino Editore

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