Bisogna vivere e diffondere la cultura del dare… Voi dovete mantenere per voi soltanto quello che è necessario: come fanno le piante, che assorbono dal terreno soltanto l’acqua, i sali e le altre cose necessarie, ma non di più. Tutto il resto va dato via, per metterlo in comunione con gli altri. [1]
Quando Chiara Lubich inizia la sua esperienza con le prime compagne in una Trento ferita e impoverita dal secondo conflitto mondiale, vive e coinvolge chi la segue sotto l’influenza della luce sgorgata dalla scoperta di Dio Amore. Quella manifestazione, che risveglia nelle prime focolarine il desiderio di amare Dio, si concretizza nell’amore del prossimo. «Noi avevamo la mira di attuare una certa comunione dei beni. Non è che volessimo amare i poveri per i poveri, o amare Gesù soltanto nei poveri, noi volevamo risolvere il problema sociale»[2]. Il Vangelo diviene sempre più un codice di vita e la pratica del “dare”, non si limita ad essere mero attivismo, è stile di vita, diviene cultura.
A quasi cinquant’anni da questa esperienza, durante un viaggio in Brasile, Chiara si trova a vivere un’esperienza che rivela in tutta la sua drammaticità, la realtà di povertà e miseria già conosciuta nei precedenti viaggi. La vista della cintura di favelas che circonda la moderna megalopoli di San Paolo, e che il Cardinale Arns, arcivescovo della città, ha chiamato «corona di spine», rivela come la comunione dei beni non fosse sufficiente a colmare i bisogni dei più poveri. In Chiara prende forma l’idea che possa nascere qualche cosa di molto più grande e globale. È il 1991 quando propone l’dea dell’Economia di Comunione: “Mi era sembrato, allora, che Dio chiamasse il nostro Movimento a qualcosa di più e di nuovo. Pur non essendo esperta in problemi economici, ho pensato che si potevano far nascere fra i nostri delle aziende, in modo da impegnare le capacità e le risorse di tutti per produrre insieme ricchezza a favore di chi si trovava in necessità. La loro gestione doveva essere affidata a persone competenti, in grado di farle funzionare efficacemente e ricavarne degli utili. Questi dovevano essere messi in comune”[3].
Vita dunque che si fa pensiero, pensiero che si incarna, via nuova in campo economico riconosciuta con due dottorati h.c. dall’Università Cattolica di Pernambuco (Brasile) nel 1998 e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nel 1999. Nel discorso tenuto in occasione del conferimento del titolo nel 1998, il Rettore Padre Theodoro Paulo Severino Peters, tra l’altro afferma: “Non senza fondamento il Dipartimento di Economia dell’UNICAP ha proposto al Consiglio Universitario che Chiara fosse riconosciuta quale autrice di una proposta alternativa per i gravi problemi sociali attraverso il Progetto dell’Economia di Comunione”[4].