La comunione fraterna però non è stasi beatifica: è una perenne conquista, col risultato continuo non solo del mantenimento della comunione, ma del dilagare di essa fra tanti, perché la comunione di cui qui si parla è amore, è carità, e la carità è diffusiva di sua natura.[1]

Dimensioni particolari della vita, vengono colte da Chiara Lubich come espressione di quell’unica radice vitale che è il Vangelo. Particolari che seppur contenuti in essa, esprimono tutta la luce del Carisma a lei affidato.

Inizialmente, si profilano dei compiti che, per le attitudini particolari di una persona o di un’altra, quasi incarnano in sé stesse quell’aspetto della vita. È nell’estate del 1950 che per esempio, in Graziella De Luca, tanto portata alle relazioni interpersonali, Chiara coglie quel particolare compito di far sì che la carità vissuta sia, come per sua natura, diffusiva. In una conversazione di quell’anno, Chiara spiega: “Ella è, come vidi quest’estate, l’espressione esterna della nostra luce. È come questo esterno fatto persona”.

Nel tempo, vengono a ordinarsi, come i sette colori dell’arcobaleno, sette aspetti della vita attraversata dalla luce dell’amore di Dio.

Nel 1962, Chiara si trova ad Einsiedeln, in Svizzera, e desidera comunicare ciò che caratterizza la dimensione delle relazioni, la testimonianza, nella prospettiva del Vangelo letto e vissuto alla luce del Carisma dell’Unità. Si reca spesso ad un santuario meta di continui pellegrinaggi. Religiosi e suore le passano accanto con i loro diversi vestiti. Sullo sfondo di quello scenario naturale così splendido, quella varietà di abiti le appare particolarmente bella ed ha l’impressione che i santi fondatori avessero avuto da Dio una vera ispirazione per il vestito dei loro figli spirituali, che con quei vestiti esprimevano la vocazione di ciascuno.

Le fanno un’impressione speciale le piccole sorelle di Foucauld. Sembrano delle lavandaie per il loro vestito, ma che col loro solo passaggio, gridano le Beatitudini mentre passano in bicicletta. Quel loro viso così vivo e quell’abito così dimesso ricorda a Chiara quello che aveva letto di Charles de Foucauld, e cioè che voleva gridare il Vangelo con la sua vita.

Un’esperienza semplice che mette in particolare rilievo a Chiara una particolare espressione del Vangelo con cui riesce ad esprimere ciò che caratterizza la dimensione della testimonianza nella prospettiva del vangelo letto e vissuto alla luce del Carisma dell’Unità: «Certo! “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli – dice –, se vi amerete gli uni gli altri”. Così, così i primi cristiani. Da che cosa li riconoscevano? Non dal loro vestito, che era quello di tutti, ma da come si amavano».[2]

Nairobi, maggio 1992 Chiara Lubich torna in Africa A conclusione della sua visita fonda la Scuola di Inculturazione.

Note

  1. [1]

    Chiara Lubich, La dottrina Spirituale, Mondadori, 2001, pag. 142

  2. [2]

    In Dottorati honoris causa conferiti a Chiara Lubich, Città Nuova, 2016, pagg. 67-68

Riferimenti bibliografici