I geni e gli scienziati ne hanno offerte e ne offrono tante; ma, per mutare il mondo come noi vogliamo, occorrono idee universali, idee che comprendano e completino le parziali verità che i grandi ci lasciano. Occorre l’Idea, occorre il Verbo. [1]
Scrive Chiara Lubich nel 1968: «L’amore è luce, è come un raggio di luce, che, quando attraversa una goccia d’acqua, si spiega in arcobaleno, dove si possono ammirare i suoi sette colori. Tutti colori di luce, che a loro volta si spiegano in infinite gradazioni. E come l’arcobaleno è rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto, l’amore, la vita di Gesù in noi, avrebbe avuto diversi colori, si sarebbe espressa in vari modi, diversi l’uno dall’altro”. Confida Chiara Lubich in un’intervista realizzata nel 2002: “[…] io parlo tanto di Amore, ma è stato un Carisma di Luce” – e prosegue ricordando la sua esperienza – […] io ero continuamente sotto l’azione di questa luce che mi illuminava su come dovevamo muoverci, su come dovevamo fare, su quello che doveva essere, non so, il nostro modo di lavorare, di pregare, di studiare, di comunicare, il nostro modo di avere le case, il nostro modo di vestire…”[2]. L’amore porta alla comunione, non è chiuso in sé stesso, è di per sé diffusivo, eleva l’anima, risana, raccoglie più persone in assemblea, l’amore è fonte di sapienza.
In occasione del conferimento del Dottorato H.C. in Filosofia, dall’Università “S. Juan Bautista del la Salle”, dopo aver narrato la sua esperienza facendo emergere la particolare attitudine alla filosofia, intesa non solo come disciplina, ma in quanto amore per la sapienza, muove il suo discorso con una domanda cruciale in ordine allo svuotamento di senso che caratterizza la crisi culturale del nostro tempo: “Siamo di fronte a una crisi irreversibile? O piuttosto a una lenta gestazione di un mondo nuovo? Anche qui Gesù abbandonato è luce per comprendere e vivere il senso di questo dramma. Gesù abbandonato ha sperimentato in Sé, ed ha assunto in Sé il non-essere delle creature separate dalla fonte dell’essere: ha preso su di Sé la ‘vanità delle vanità’ (Qo 1.2). Egli ha fatto suo – per amore – questo non-essere che possiamo chiamare negativo e lo ha trasformato in Sé stesso, in quel non-essere positivo che è l’Amore, come rivela la risurrezione – e conclude più avanti – […] Ciò [la presenza di Gesù abbandonato risorto] illumina di luce nuova e dilata il rapporto fra gli uomini e il mondo, quel rapporto del quale la capacità di trasformare le cose, quale si realizza nel lavoro e nella tecnica, è solo un aspetto. A noi infatti sembra di poter affermare, perché se ne ha già una certa esperienza, che le intuizioni più profonde – siano quelle del pensiero o dell’arte, della scienza o delle opere –, se sono accolte nell’unità fra noi per la quale abbiamo fra noi la presenza del Risorto e partecipiamo del suo pensiero (cf. 1 Cor 2,16), possiamo far intravedere questo dilagare dello Spirito di Dio in tutte le cose”[3].
Con il conferimento del Dottorato H. C. per il Dialogo con la cultura contemporanea, dall’Università di Benos Aires (Argentina) nel 1998, viene riconosciuto un contributo culturale ad ampio raggio a Chiara Lubich: “una donna riconosciuta a livello mondiale per il valore del suo pensiero della sua opera a favore dell’unità nella diversità, della solidarietà e del dialogo pluralista”[4]. Tra l’altro, la prof.ssa Alicia Camilloni, in quell’occasione pronuncia nella Laudatio: “Il suo ideale che abbraccia tutta la realtà, nel quale si costruiscono ponti tra le diverse forme del sapere e dove si preserva il diritto alla pluralità delle teorie come espressione della ricchezza illimitata mente creativa del pensiero umano, è proprio l’ideale dell’università aperta, pluralista, tollerante e democratica, che l’istituzione universitaria deve incarnare”(5).