Si pensa che ciò che non si comunica vada perduto. Così sul vissuto si accende la luce, per chi racconta e per chi ascolta, e l’esperienza appare fissarsi nell’eterno[1].

Volendo cogliere la tonalità della luce culturale che investe l’ambito della comunicazione, strumento di unità, è utile riferirsi agli albori dell’esperienza di Chiara Lubich, che lei stessa ricorda caratterizzata da “una rivoluzione di tutto un modo di pensare precedente che avevamo pure noi. Mentre prima la nostra vita di cristiani era tutta spezzettata e risultava perciò poco affascinante – c’era l’ora dell’apostolato, l’ora della preghiera, l’ora del lavoro, ecc. – a un dato momento ci siamo accorti che tutto doveva cambiare: l’unica cosa da fare era amare Dio e, per dimostrargli il nostro amore, si pregava; per dirgli che Lo amavamo, si amavano i prossimi o si compivano i nostri doveri quotidiani, ecc. Così sono stati unificati [in noi] gli aspetti della nostra vita, dando luce e unità a tutti”[2]. Unità che non si compie solo nella dimensione personale, ma che vuole attuarsi anche tra le membra che compongono il corpo che è la comunità. “Questa sete di sentirsi uniti è stata da sempre una nostra caratteristica fin dai primissimi tempi, quando una fitta rete di lettere metteva in comune tra di noi il lavoro che Dio iniziava a fare nelle nostre persone, un lavoro che cresceva quanto più veniva partecipato”[3].

Una delle prime attestazioni accademiche ricevute da Chiara Lubich, è stata il Dottorato H. C. in Scienze delle Comunicazioni Sociali da parte dell’Università “St. John’s University” di Bangkok (Thailandia). La delibera del Consiglio d’amministrazione la riconosce come “una persona che ha usato i mezzi di comunicazione in varie forme per diffondere l’amore di Dio verso l’umanità, senza distinzioni di classi, nazionalità, religione, per assicurare ad ogni uomo una via di pace e di unità”[4]. Nel tempo, infatti, Chiara ha utilizzato e spronato a farlo, i più moderni mezzi di comunicazione, perché se è vero che “per portare l’unità, che significa evangelizzare il mondo, occorre anzitutto quel mezzo imprescindibile che è l’uomo, che sono gli uomini, gli apostoli”(5), per arrivare quante più persone possibili “occorre far calcolo di potenti mezzi, universali, come sono appunto i mass-media”(6). Nella motivazione del riconoscimento accademico, viene messo in rilievo come “Chiara, ascoltando nel suo cuore la voce del ‘Grande Comunicatore’, ha seguito, 53 anni fa, la chiamata a vivere il suo amore in mezzo alle sofferenze della Seconda Guerra mondiale ed a proclamare quest’amore come semplice cristiana nel mondo”(7). Nella lezione magistrale, dopo aver illustrato come nel tempo via via siano stati utilizzati diversi strumenti di comunicazione a seconda delle circostanze e dell’avanzamento della tecnica, Chiara manifesta come i mezzi di comunicazione abbiano un ruolo caratteristico a servizio di una spiritualità che è comunitaria. Conclude con un augurio: “Spero che […] molti siano resi più coscienti di cosa possono diventare nelle nostre mani questi doni della tecnica moderna”(8).

Note

  1. [1]

    Chiara Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori 2001, pag.345

  2. [2]

    Chiara Lubich, in una conversazione a Grottaferrata, il 24 dicembre 1962

  3. [3]

    Chiara Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori 2001, pag.338

  4. [4]

    In Dottorati honoris causa conferiti a Chiara Lubich, Città Nuova, 2016, pag. 55

  5. [5]

    Chiara Lubich, in Dottorati honoris causa conferiti a Chiara Lubich, Città Nuova, 2016, pag. 59

  6. [6]

    Chiara Lubich, in Dottorati honoris causa conferiti a Chiara Lubich, Città Nuova, 2016, pag. 59

  7. [7]

    In Dottorati honoris causa conferiti a Chiara Lubich, Città Nuova, 2016, pag. 57

  8. [8]

    Chiara Lubich, in Dottorati honoris causa conferiti a Chiara Lubich, Città Nuova, 2016, pag. 63

Riferimenti bibliografici