L’intervento della teologa palermitana Ina Siviglia nell’ambito del Convegno di Palermo del maggio 2018.
In occasione del 20° anniversario del conferimento della cittadinanza onoraria a Chiara Lubich, il 14 maggio 2018 si è tenuta a Palermo, presso la Pontificia Facoltà teologica, la tavola rotonda su “Il contributo della cultura dell’Unità all’umanesimo popolare”.
Sono intervenuti Maria Voce e Jésus Morán, rispettivamente presidente e copresidente del Movimento dei Focolari, l’Arcivescovo di Palermo, Mons. Corrado Lorefice e il Preside della Pontificia Facoltà teologica, Prof. Don Francesco Lomanto. Ha moderato i lavori la teologa palermitana, Ina Siviglia, che aveva accolto la fondatrice dei Focolari nella sua visita alla città nel gennaio 1998.
Vorremmo in particolare soffermarci sull’intervento della professoressa Siviglia e del contributo che essa ha dato alla riflessione, a partire dal suo rapporto personale con la Lubich nato proprio venti anni fa e che è continuato negli anni a venire.Visibilmente commossa, dopo il momento della proiezione del video sul conferimento della cittadinanza palermitana a Chiara Lubich, la Siviglia ha condotto una riflessione sul carisma dell’unità e sulla sua persona:
«Oggi non è soltanto un ricordare qualcuno che non c’è più. Il termine zikaron, che la Bibbia usa per affermare una memoria che attualizza l’evento e che rende le persone viventi in comunione, spiega molto bene questo fare memoria, una memoria che rende attuale e presente un carisma che si è dipanato nel tempo con una luminosità sempre maggiore».
La venuta a Palermo di Chiara Lubich avveniva nel periodo che seguiva gli anni bui delle stragi di mafia, durante i quali tutta la comunità palermitana, civile e religiosa, aveva subito un grande turbamento:
«In quei momenti Chiara ha assicurato il pensiero a questa città di Palermo, ma anche la preghiera costante e, per chi crede alla comunione dei santi, si è certi che quella preghiera, dovunque sia stata nel mondo, abbia raggiunto la nostra città di Palermo. Una città che in quel momento era martoriata dalla mafia, dal malaffare, da interessi oscuri e da poteri occulti, ma anche patria di numerosi santi che hanno donato luce e benessere al nostro popolo di Dio, come il nostro carissimo padre Giuseppe Puglisi».
La riflessione della teologa continua, quasi a braccio, ispirata da un amore profondo per la fondatrice dei Focolari e dalla sua riconoscenza nei confronti del carisma dell’unità:
«Chiara ci ha lasciato una ‘traditio’. Non è una ‘traditio’ con la T maiuscola, perché non è la Bibbia, non sono i Padri della Chiesa, ma è una ‘traditio’ che si caratterizza per questo senso della comunità: il consegnare il suo carisma alla Chiesa universale senza chiusure, senza privatizzarlo, significa che Chiara era una vera figlia della Chiesa, una donna che ha sempre parlato con parresia, con coraggio, senza temere reazioni o problemi che potevano insorgere ovunque abbia parlato».
Un passaggio interessante è stato quello sulla “Parola di Vita”, un commento che faceva Chiara Lubich una volta al mese a un versetto del Vangelo con lo scopo di metterlo in pratica:
«Qui vorrei due parole dire su quel foglietto “Parola di vita” che mi ha raggiunto per anni, ogni mese. Come riusciva Chiara a fare delle riflessioni così profonde, articolate, efficaci, incisive nella vita della persona per spandere attorno il profumo di Cristo! Veniva fuori questo suo innamoramento folle per Gesù e per la Chiesa, che era sua madre, luogo dove lei si è mossa con lucidità e anche determinazione».
Alle nuove generazioni, che non l’hanno conosciuta personalmente, ricorda che il raggio della sua presenza arriva ugualmente se si è uniti, legati come “in carovana”:
«Ho sentito parlare tanti ragazzi che non l’hanno conosciuta e che hanno questa nostalgia del fatto che non l’hanno potuto avvicinare. Essi però hanno compreso che tra i focolarini si è insieme una carovana, una catena di persone che amano l’Amore e quindi qualcosa del raggio della sua presenza è arrivata anche a questi più giovani che adesso stanno crescendo e si stanno formando».
Portando avanti le sue considerazioni, mette in risalto il fatto che la Presidente del Movimento dovrà sempre essere una donna: «L’assegnare a una donna questa carica, anche per rispettare questo profilo mariano tanto presente nella sua spiritualità, non era tanto per rivendicazione femminile – non faceva parte delle correnti di moda del femminismo -, ma era l’aver intuito quel genio di cui ha parlato Giovanni Paolo II, cioè affidare alla donna il compito di superare i conflitti, di seminare pace, di prendersi cura dei poveri e di formare i giovani».
Concludendo infine il suo discorso, rivolgendosi alla comunità focolarina presente, Ina Siviglia mette in risalto l’apertura della Lubich nel sapersi incarnare nelle varie e difficili situazioni del mondo sia civile che ecclesiale, per contribuire alla costruzione della società e della Chiesa, sottolineando la vocazione “missionaria” tipica dei cristiani: «La sua spiritualità di comunione era anche l’ospedale da campo verso tutti quelli che lei incontrava nel rispetto della dignità di ciascuno e nella comprensione della ricchezza voluta da Dio nella sua Chiesa. E, questa donna laica, ha avuto veramente un tono profetico, prima, durante e dopo il Concilio Vaticano II, la profezia della donna attiva, presente, responsabile, soprattutto capace di creare unità là dove lei si trovava. Ecco perché io dico che questa vostra grandissima comunità (dei Focolari) si deve proprio concentrare sul dato missionario che era quello che caratterizzava già da allora il carisma di Chiara. Non chiudetevi in questi bellissimi ambienti dei Focolari, ma attingete lì la forza, la serenità, il sostegno per essere soldati e comunicatori di Cristo, della sua Parola, del Vangelo. Chiara è stata una testimone luminosa del come si poteva esprimere la sinodalità, perché questa dimensione comunitaria del discernimento, del portare avanti insieme le azioni missionarie, vi ha e ci ha fatto sperimentare cosa significa Chiesa sinodale, cioè, vuol dire, vivere la comunione. Ma guai a noi se non perseguiamo quest’unità nella Chiesa, perché non avremo alcun titolo a mostrare una comunione che vuole coinvolgere altri. Dunque l’esigenza evangelica è dell’essere uno per testimoniare un’unità all’interno e ad extra della Chiesa».