«Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40).
“Truly I tell you, just as you did it to one of the least of these who are members of my family, you did it to me.” (Mt 25:40)
Parola di vita di novembre 1984
Questa Parola di Gesù è incastonata, come una perla, nella nota pagina dell'evangelista Matteo sul giudizio finale. È una pagina che, in sintesi, ci ripresenta tutto il messaggio del Vangelo, suggellando quanto esso afferma sull'uomo e quanto richiede da lui.
Gesù, l'atteso da "tutte le genti", è venuto e ha salvato l'umanità naufragata nel peccato, soffrendo in se stesso il prezzo di tanta purificazione. È lui che tornerà, a giusto titolo come re-giudice, alla fine dei tempi e radunerà tutti gli uomini di ogni luogo e di ogni epoca, per dare a ciascuno ciò che gli spetta secondo le sue opere: il premio o il castigo eterno.
Ma - secondo la descrizione del giudizio finale, che Gesù fa ai suoi - il giudice divino dirà qualcosa che sorprenderà tutti: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare...». Quando mai, infatti, noi tutti uomini abbiamo dato da mangiare a lui? Perciò egli spiega:
«Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».
Secondo quella descrizione, solo all'ultimo giudizio quindi si saprà che ogni uomo era fratello di Cristo, per cui ogni atto d'amore veniva fatto o negato a Cristo.
Gesù però, nel suo infinito amore per l'uomo, non ha tenuto nascosta questa stupenda e tremenda verità fino agli ultimi tempi. Anzi, perché essa venga in evidenza in tutto il suo valore, in tutta la sua importanza, l'ha rivelata proprio qui, sullo sfondo di quell'evento da cui non si potrà più tornare indietro.
«Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».
Chi sono quelli che Gesù chiama "suoi fratelli più piccoli"? Il contesto, in cui Gesù usa quest'espressione è, come abbiamo visto, universale: è un giudizio dove sono convocati tutti gli uomini senza distinzione. Quell'espressione perciò non indica i cristiani soltanto, ma qualsiasi uomo, cristiano o no, si trovi in necessità o in difficoltà. Il testo parla di chi ha fame o sete, di chi ha bisogno di vestito o di alloggio, del malato, del carcerato, ma non è difficile estendere l'elenco a milioni di indigenti e di sofferenti, che nel mondo implorano, anche senza parole, il nostro aiuto.
Sono questi che Gesù chiama fratelli suoi e con questi egli è misteriosamente solidale.
Già nell'Antico Testamento Dio si dichiara in modo particolare dalla parte del povero, ma mai è detto che si identifica con lui. Questo avviene con Gesù, il "Dio con noi", come dice lui stesso:
«Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».
L'identificazione di Cristo con l'indigente è uno degli aspetti più alti e nuovi del messaggio evangelico. Incarnandosi, infatti, il Figlio di Dio «da ricco che era si è fatto povero. Ed è venuto per servire, non per essere servito: ha guarito i malati, ha sollevato i sofferenti, è stato con gli emarginati, non certo per qualche loro pregio morale o spirituale, ma per amore.
La sua carità era aperta indistintamente a tutti, ma egli prediligeva chi ne aveva più urgenza, fino alla conseguenza estrema della sua morte in croce per tutti noi peccatori, bisognosi di perdono.
Ed è rimasto fedele a questa linea anche dopo la risurrezione: egli, infatti, è presente specialmente in chi soffre, in chi è nel bisogno. E, alla fine del mondo, userà come criterio di giudizio su tutti gli uomini il comportamento che avranno avuto con i poveri e gli umili, che egli considera "sui fratelli".
Ogni atto verso il prossimo, quindi, è riferito a Cristo ed ha un valore di eternità.
«Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».
Questa Parola ci riconferma che la carità è la cosa più importante per Gesù. Essa è, infatti, l'essenza del Vangelo.
È così importante che chi aiuta concretamente i suoi fratelli, è come amasse direttamente Gesù in loro, anche se non lo sa. Per questo potrà allora entrare con lui nel Regno del Padre, anzi il Regno gli invaderà il cuore fin da questa terra.
È evidente allora come mettere in pratica questa Parola di vita.
Cominciamo subito a riconoscere Gesù in chiunque ci passa accanto. e, al di là di ogni vecchia discriminazione tra ricco e povero, colto e ignorante, simpatico e antipatico, vecchio e giovane, bello e brutto, trattiamo ogni prossimo come realmente tratteremmo Gesù.
Qualunque sia, la nostra posizione nella società, non perdiamo le numerose occasioni che ci capitano per fare tanti atti d'amore, soprattutto verso i più bisognosi - gli affamati, i senzatetto, i malati, i disoccupati, gli emarginati, i drogati - di cui veniamo giorno per giorno a conoscenza nelle nostre città e nei Paesi lontani.
E quando ce ne dimentichiamo, ricominciamo subito. Il prossimo da amare non mancherà mai.
Chiara Lubich