“Sin dall’inizio si è subito compreso che l’amare il prossimo come sé stessi (cf. Mt 22, 38), così come chiedeva il Vangelo, andava preso sul serio, alla lettera. Che quel ‘come’ significava proprio ‘come’[1]

Nel 1947, Chiara Lubich scriveva: “Il prossimo ci passa accanto ogni attimo! È Gesù. Misurate il vostro amore a Dio dall’amore che portate al vostro prossimo. Siate “in lui”, nei suoi dolori, nei suoi bisogni, nelle sue apprensioni, nei suoi dubbi, nelle sue poche gioie”[2].

La rinnovata scoperta di Dio che è amore, che suscita una risposta di adesione alla Sua volontà, vivendo la Parola, spinge Chiara Lubich, fin dagli albori della sua esperienza a Trento, a concentrarsi sull’evangelico comandamento nuovo ricordando che “l’importante è avere un’unica idea del “prossimo”. È il fratello che ci passa accanto nell’attimo presente della nostra vita”[3].

Le prima luce accesa negli anni ’40, in cui si delineano i tratti tipici della spiritualità di Chiara Lubich, continua, negli anni, a suggerire concrete attuazioni: “Amare tutti con quell’amore di misericordia che era caratteristico nei primi tempi del Movimento, quando si era deciso di vedere ogni mattina, durante tutta la giornata, il prossimo che incontravamo, in famiglia, a scuola, al lavoro ecc., dappertutto, vederlo nuovo, nuovissimo, non ricordandoci affatto dei suoi nei, dei suoi difetti, ma tutto tutto coprendo con l’amore”[4].

È possibile dunque vivere questo aspetto della spiritualità, non tanto con atteggiamento pietistico, né col solo sentimento, ma con azioni concrete: “se guardiamo a Gesù, possiamo osservare che egli ha amato il prossimo sfamandolo, guarendolo, perdonandolo ecc.”[5], facendo dell’amore una vera e propria arte. Come tradurre dunque in pratica quest’arte? Di che amore si tratta? “È un amore che considera l’altro come sé stesso, che vede nell’altro sé stesso. Diceva Gandhi: «Tu ed io siamo una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi» (Cit. in W. Mühs, Parole del cuore, Milano 1996, p. 82)[6]. Nessuno escluso, “non c’è [infatti] da scegliere fra simpatico o antipatico, vecchio o giovane, connazionale o straniero, bianco o nero o giallo, europeo o americano, africano o asiatico, cristiano o ebreo, musulmano o induista…”[7]. Nessuno escluso quale oggetto dell’amore e nessuno escluso come soggetto. Si apre così una prospettiva che Chiara in modo sintetico quanto incisivo condivide con il gruppo internazionale di ragazzi riuniti a Roma nel maggio del 2002: “se tu, ragazzo musulmano, ami; e tu, cristiano, ami; e tu, ebreo, ami; e tu, indù, ami; arriverete certamente ad amarvi a vicenda. E così fra tutti. Ed ecco realizzato un brano di fraternità universale”[8].

Note

  1. [1]

    1.Chiara Lubich, Conversazione ad un gruppo di seminaristi, Castel Gandolfo, 30 dicembre 1989

  2. [2]

    2.Chiara Lubich, lettera del 6 novembre 1947, in Lettere dei primi tempi, Città Nuova, 2010, pag. 81

  3. [3]

    3.Chiara Lubich, in L’amore al fratello, a cura di Florence Gillet, Città Nuova, Roma 2012, pag.18

  4. [4]

    4.Chiara Lubich, in L’amore al fratello, a cura di Florence Gillet, Città Nuova, Roma 2012, pag.58

  5. [5]

    5.Chiara Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, 2005, pag. 29

  6. [6]

    6.Chiara Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, 2005, pag. 9

  7. [7]

    7.Chiara Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, 2005, pag. 10

  8. [8]

    8.Chiara Lubich, in Ai Gen 3, a cura di Annalisa Innocenti, Città Nuova, 2010, pag. 64

Riferimenti bibliografici

  • La dottrina spirituale, a cura di Michel Vandeleene, Mondadori, Milano 2001
  • Una via nuova. La spiritualità dell’unità, Chiara Lubich, Città Nuova2002
  • L’amore al fratello, a cura di Florence Gillet, Città Nuova, Roma 2012