Rispondere a Dio nella via dell’unità. “Noi non volevamo mai essere un convento, noi volevamo essere in mezzo al mondo. Noi eravamo sorelle.”

Un po’ come le mamme che usano raccontare “qualche storia della loro infanzia, di quando erano fidanzate, poi dopo, e le raccontano sempre da capo”, Chiara si rivolge ad un gruppo di giovani interessati ad approfondire la vocazione del focolarino. Racconta di sé, prima focolarina, incamminata nella sequela di Gesù, su quella che chiama la quarta strada.

[…] avevo pressappoco la vostra età: quindici, sedici, diciassette, diciott’anni, quando, come tutti, penso, i giovani, penso che non ci sia uno che non lo prova e se non l’avete provato, lo proverete, sentivo una grande attrattiva alla santità, farmi santa. Era fortissima questa attrattiva alla santità ma non sapevo come fare, questo era il punto, perché avevo letto dei libri di santi e dicevo: se per farsi santi occorre far penitenze, io le faccio, e cilizi e le catenelle, battersi; se occorre fare il digiuno, io lo faccio, se occorre pregare sempre, io lo faccio. Ma come si fa a farsi santi? Avevo quindi questa grande aspirazione e non sapevo come fare. Per cui ho tutt’ora l’impressione che in quei giorni mi si parasse davanti nella vita un muro, ma alto, sapete, altissimo, impossibile da valicare. Non sapevo come fare per farmi santa.

Allora si presentavano tre strade in cui i giovani come voi potevano andare: una era il matrimonio, l’altra era la chiamata al convento e l’altro consacrarsi a Dio stando a casa. Queste tre strade erano le uniche esistenti allora e siccome erano le uniche esistenti e io non ero chiamata né a questa, né a questa, né a questa, naturalmente non le trovavo adatte per me.

Qualcosa di attraente, tra le conosciute, c’è in ognuna di quelle forme di risposta alla chiamata di Dio. Ammirabile nel matrimonio la libertà dell’amore in famiglia, l’amore incondizionato dei genitori verso i figli, per esempio, però in essa, per Chiara manca “quel qualcosa che attrae proprio i giovani, i quali vogliono spendere la vita per qualcosa di grande”. Attraente il convento, dove le persone si consacrano a Dio totalmente e lasciano i parenti e la patria. Però c’era qualcosa anche lì che non mi andava. È il fatto che ormai nella Chiesa già vent’anni prima del Concilio, soffiava lo Spirito Santo in una certa direzione e diceva: la santità fuori dai conventi, in mezzo al mondo, tutti devono farsi santi, anche i laici in mezzo al mondo, farsi santi. Allora io dicevo: bella questa cosa, però mi manca il ‘in mezzo al mondo’, bisognerebbe che fosse in mezzo al mondo.

Poi c’è la risposta di chi si consacra a Dio rimanendo a casa, “Bella per la consacrazione, ma quel rimanere a casa […] io mi aspettavo qualcosa di diverso e non c’era, sulla terra non esisteva la mia strada”.

Dopo l’abilitazione all’insegnamento nel 1938, Chiara fa la maestra elementare in un paesino della Val di Sole, in Trentino. Dal 1940, continua ad insegnare all’Opera Serafica dei Padri Cappuccini a Cognola di Trento.

Nel 1938, partecipa ad un convegno con le giovani dell’Azione Cattolica a Loreto e lì iniziano a delinearsi i primi tratti di quella che sarebbe stata una strada nuova. Il 7 dicembre 1943, con il volo, Chiara raggiunge un primo traguardo: “la consacrazione totale, quindi una cosa eroica non una cosa mediocre”.

Nei mesi successivi alla sua consacrazione, Chiara continua a vivere in famiglia. La guerra coi bombardamenti infuria su Trento. Molte famiglie lasciano la città, anche i Lubich decidono di sfollare verso una valle vicina. Chiara rimane accanto a quelle prime persone che con lei avevano fatto di Dio l’ideale delle loro vita, impegnate a risolvere il problema sociale di Trento, certe che l’Amore tutto avrebbe vinto. Non può però abitare nella casa di famiglia perché sinistrata dopo il bombardamento del 13 maggio 1944.

[…] a un dato punto a me e alle mie compagne rimaste a Trento viene offerta la possibilità di andare in un appartamentino piccolo, piccolo. Noi non sapevamo cosa stava nascendo, non è che l’ho fondato io il focolare, l’ha proprio fondato la Provvidenza.

Entriamo dentro in questo appartamentino, diciamo: stiamo qui insieme, ricordo abbiamo fatto la lista: abbiamo tanto di olio, tanto di farina, così, per mangiare, per vivere, per star là, però ormai io avevo diffuso l’Ideale, la prima scintilla era scoccata ed era l’amore, l’amore che era diventato ormai reciproco, per cui lì sperimentiamo subito che noi sì, siamo una convivenza, diciamo pure un convento se vuoi, ma con Gesù in mezzo e in mezzo al mondo, perché noi non volevamo mai essere un convento, noi volevamo essere in mezzo al mondo. Noi eravamo sorelle. Gesù è venuto, ha fatto la fraternità universale e va bene, noi siamo un pezzettino di questa fraternità. Così era il focolare. Così si realizzava la terza cosa: convenire sì, cioè radunarsi sì insieme, ma in mezzo al mondo: era il terzo elemento. Allora mi sono ricordata di Loreto e ho visto come nella Sacra Famiglia ci sono i tre elementi che a me piacevano perché è una famiglia, tutti e tre consacrati, (addirittura Gesù è Dio) in mezzo al mondo. E facendo il paragone vedevo che il focolare, che dopo abbiamo chiamato ‘focolare’ molto più tardi, era in mezzo al mondo, con persone tutte date a Dio però in mezzo al mondo e che hanno lasciato tutto, perché noi avevamo lasciato, con questo volo che io avevo fatto, che noi chiamiamo il volo, avevo lasciato tutto e anche la famiglia, così. Ecco il focolare! [1]

 

 

Note

  1. [1]

    Rocca di Papa, 30 dicembre 1984

Riferimenti bibliografici