Nella famiglia di Luigia e Luigi Lubich di Trento (nel nord Italia), Dio chiama in modo tutto particolare la seconda dei loro quattro figli.
Ricorrerà frequentemente tra queste pagine la parola vocazione che propriamente significa chiamata, ma che rimane indissolubilmente coniugata con la realtà più sensibile della risposta. Chi potrà mai ripetere e dire, la parola con cui Dio l’ha tratto in Sé? Forse uno sguardo, una parola, un libro, una circostanza… si possono raccontare, ma rimangono la cornice, l’ambiente: la voce è chiara solo a chi l’ascolta. Un invito a cui si può aderire con un gesto, una promessa, una lettera, un impegno, una veste… visibile invece a molti.
Chiamata e risposta rimangono, due atti distinti e liberi che riguardano persone diverse, in relazione tra loro. Nello specifico, chi chiama è Dio, che per primo dice il suo “sì” all’uomo, e chi risponde, è la creatura che dice il suo “sì” a Lui. Sostiamo un attimo, nel quadro di riferimento della tradizione ebraico-cristiana, considerando questi due momenti di un possibile dialogo tra Dio e l’uomo.
Dal nulla Dio chiama all’esistenza e chiama ciò che non c’è come se già fosse (Cfr. Rm 4,17). Disse, e fu luce, stelle, acqua, terra, esseri viventi, e tutto fu ordinato. Disse, e fu l’uomo, maschio e femmina.
L’atto creativo, sia nel racconto della tradizione Jahvista che in quello della tradizione Sacerdotale (Cfr. Gen 2,4b-3,24 e Gen 1,1-2,4a), sebbene con stili letterari molto diversi, assume i tratti di un dialogo, in cui la parola di Dio diviene realtà, la vocazione esistenza, l’esistenza relazione.
Al capitolo 3 della Genesi, “il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: Dove sei?” (Gen 3,9). La creatura, che aveva vissuto faccia a faccia con Dio in una comunione libera e piena, ora è nascosta e il Signore Dio la cerca. Un gesto di sfiducia dell’uomo nei confronti di Dio incrina la relazione che permea la scena mitica del paradiso terrestre. La chiamata riapre il dialogo e, con un gesto di cura, il Signore Dio chiama e instaura una relazione nuova, personale, con l’uomo che può ri-volgersi a Lui. La creatura con-vocata riceve la prima chiamata che troviamo nella Sacra Scrittura.
Nella storia biblica, la prima vocazione in senso stretto, è quella di Abramo: con lui, Dio manifesta di voler camminare nella storia di un popolo, in prossimità con uomini e donne che hanno nomi e volti precisi. Dopo Abramo, seguono i Patriarchi, l’esperienza dell’Esodo. La storia della salvezza continua, costellata di persone chiamate e che, rispondendo, fanno propria una particolare missione. I libri storici, i testi sapienziali, le vicende dei profeti, custodiscono le vocazioni di uomini e donne che con la loro generatività fisica e spirituale, preparano la venuta del Messia, culminando nella persona di Giovanni, che annuncia: “Viene dopo di me colui che è più forte di me […] egli vi battezzerà in Spirito Santo” (Mc 1,7-8).
Pur nella diversità delle vocazioni bibliche, ci sono degli elementi che generalmente ricorrono. La vocazione è una manifestazione, un evento, la persona chiamata riceve un invito ed una missione. La chiamata è innanzi tutto l’invito ad una relazione più profonda con Dio. La risposta si realizza nella storia, come compimento di una promessa, di una missione ricevuta.
Nel Nuovo Testamento, Dio irrompe nella storia chiamando Maria a divenire madre. È ancora il Signore, come nel primo Testamento, che prende l’iniziativa e senza seguire le logiche umane, prospetta la maternità ad una vergine (cfr. Lc 1,26-27). Sarà madre di un figlio che chiamerà Gesù, il Salvatore (cfr. Lc 1,31). Maria, piena di grazia, da cui traspare in bellezza il suo rapporto con Dio, viene interpellata nella libertà (cfr. Lc 1,34), ma non è lasciata sola, il Signore è con lei (cfr. Lc 1,28). La disponibilità di Maria diviene servizio (cfr. Lc 1,38), così si realizza la missione che le viene svelata. In Maria il Verbo s’incarna, diviene madre del Signore (cfr. Lc 1,43).
Con l’incarnazione, Dio prende dimora in modo nuovo e definitivo tra gli uomini, si fa prossimo. “Il Logos, che è presso Dio, il Logos che è Dio, il Creatore del mondo, (cfr Gv 1,1), per il quale furono create tutte le cose (cfr 1,3), che ha accompagnato e accompagna gli uomini nella storia con la sua luce (cfr 1,4-5; 1,9), diventa uno tra gli altri, prende dimora in mezzo a noi, diventa uno di noi (cfr 1,14)”[1]. In questa nuova relazione, il Verbo fatto carne, può dire, con voce d’uomo, “seguimi”. In tutti e quattro i vangeli ricorre questo invito. Gesù chiama i suoi discepoli a seguirlo e continua, nella Chiesa, a chiamare (e chiamarci), ad una sempre più piena unione con il Padre, nella prospettiva di una sempre più perfetta carità verso i fratelli.
Sulla via di Damasco, “il Cristo risorto appare come una luce splendida e parla a Saulo, trasforma il suo pensiero e la sua stessa vita […] Questa svolta della sua vita, questa trasformazione di tutto il suo essere non fu frutto di un processo psicologico, di una maturazione o evoluzione intellettuale e morale, ma venne dall’esterno: non fu il frutto del suo pensiero, ma dell’incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo “io”, ma fu morte e risurrezione per lui stesso: morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto”[2].
Dopo la morte e resurrezione di Gesù, nei secoli, il Padre, per mezzo dello Spirito, non ha cessato di invitare gli uomini a condividere con Lui la sua vita. Così, seguendo il Figlio, tanti sono stati chiamati a condividere con Lui la missione di ricomporre nel mondo una sola famiglia, realizzando magari particolari progetti e ne siamo tuttora testimoni. Nella Chiesa, come sacerdoti, religiosi, laici vergini e coniugati, in diverse realtà ecclesiali e non solo: vi sono chiamati ad una vita di donazione, anche tra aderenti a tradizioni e confessioni cristiane diverse, come nel caso delle forme monacali in Oriente, o seguaci di altre religioni che perseguono cammini di perfezione spirituale.
La chiamata, rivolta ad una persona o a un popolo, attende sempre una risposta. Apre un dialogo personale, originale e unico che si realizza nel tempo. Abramo rimane affascinato dalla Voce che gli parla nel cuore e nella mente. Lascia tutto ciò su cui fonda le sue sicurezze e affronta i rischi di un’incommensurabile promessa (cfr. Gen 12,2-3). Risponde con un atto concreto, virile, e questo è solo l’inizio della sua nuova vita con Dio. Nell’intreccio di variegate risposte, Dio tesse la sua relazione con l’umanità, conducendo la storia verso il suo compimento. C’è chi con fiducia supera la paura dovuta alla propria inadeguatezza o a motivo di pesi del passato, chi fa un atto di obbedienza, chi fugge e ritorna, chi si mette al servizio. Ognuno a modo suo, dice il suo “sì”.
È per la risposta di una donna, che Dio può entrare nel mondo come uomo, come noi. Il “sì” coraggioso di Maria, supera il timore e l’inadeguatezza (cfr. Lc 1,29.34), e fa germogliare nella sua umiltà, l’audacia che solo una piena fiducia in Dio può sostenere.
I vangeli presentano anche le dodici risposte degli apostoli chiamati da Gesù a seguirlo per formare la prima comunità sulla quale si fonda la Chiesa (cfr. Ap 21,9-14). “Ed essi, «lasciato tutto lo seguirono» (Mt 4,18-22; Lc 5,11). Lasciarono tutto. Lasciarono la famiglia: Giacomo e Giovanni il padre, Pietro la moglie e i figli. Lasciarono quanto possedevano: le reti e la barca, tutti i loro beni. Questo loro concreto lasciare tutto per seguire Gesù ci schiude qualcosa di veramente profondo: ci dice il loro darsi liberamente e totalmente a Lui che li aveva personalmente scelti e chiamati. Ed è ciò che li rende degni e atti alla loro particolarissima vocazione, quella di fondare la Chiesa, di esserne le colonne viventi, gli apostoli appunto, il cui ministero si sarebbe perpetuato nei secoli attraverso i vescovi[3]”.
Saulo, dopo l’incontro con il Risorto, risponde e aderisce all’invito del Signore entrando a far parte della Chiesa. L’aver abbandonato la condotta di prima e l’essersi rivestito dell’uomo nuovo (cfr. Ef 4,21-24) è significato nel mutamento del nome con il quale viene conosciuto il grande missionario della Parola: Paolo. La risposta alla chiamata coinvolge tutta la sua persona, tutto il suo essere.
La Chiesa, già nel suo nucleo fondativo, si configura come un popolo di persone convocate nella diversità di funzioni e carismi (1 Cor 12,1-15). Un corpo, immagine di Cristo, che cammina nella storia. Rimane nei secoli, nella finitezza dell’umanità che la compone, luogo di incontro con l’Infinito che è Dio. In essa, uomini e donne continuano a rispondere a vocazioni personali e particolari, seguono Dio, illuminati dal Vangelo, sostenuti dallo Spirito che li spinge verso orizzonti più ampi dell’umana comprensione. Antonio l’Anacoreta, Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi, S. Ignazio di Loyola, S. Teresa D’Avila… sono unici, ma non soli e rimangono un esempio per molti, nell’aver aderito alla volontà di Dio.
Le risposte dell’uomo a Dio, perché libere, possono essere positive o negative. Molti dei “sì” detti, rimangono custoditi nel segreto e vissuti in una quotidianità che non viene elevata agli altari. Non conosciamo nemmeno molti rifiuti. Ve n’è uno, narrato nel vangelo, di un giovane di cui non conosciamo il nome (potrebbe essere il mio, il nostro). Non c’è scritto che dice di “no”, il vangelo non registra la risposta vocale, ma sappiamo che all’invito di lasciare tutto e poi seguire Gesù, il giovane se ne va triste (cfr. Mt 19,22). L’epilogo così sembra evidenziare che il consenso o il rifiuto sono qualcosa di vitale, più che vocale e che la risposta affermativa alla chiamata di Dio può nascere in cuori liberi e in essi, porta la gioia.
Una vocazione
Nel ‘900, nella famiglia di Luigia e Luigi Lubich di Trento (nel nord Italia), Dio chiama in modo tutto particolare la seconda dei loro quattro figli.
Quella di Chiara, non è un tipo di donazione a Dio come quelle esistenti a quel tempo: non è la chiamata al matrimonio, né alla vita in convento, o a rimanere come consacrata, in famiglia. È un’altra cosa. Con la sua risposta, Dio può aprire per lei e per quanti vorranno aderirvi, una strada nuova. Con il suo “sì”, si è innestato un ramoscello sull’albero della Chiesa. “L’innesto è avvenuto, non hanno importanza gli strumenti di cui Dio si è servito. Ha importanza la Chiesa. Cristo vi ha posto come pietra Pietro e noi poveri, piccoli, abbiamo la gioia, in questo ventesimo secolo, d’arricchirla d’una nuova luce, di una nuova fioritura. E tutto ciò è avvenuto per la corrispondenza alla grazia di quanti vi hanno lavorato; soprattutto per il carisma, talento che dovevamo trafficare, e anche per le nostre debolezze e le nostre ingenuità e le nostre mancanze. Non perché debolezze e ingenuità siano cose buone in sé, ma perché avendo sempre creduto che tutto ciò che avviene è per un bene (per coloro che amano Dio), debolezza e ingenuità e manchevolezze sono divenute materia utile all’Opera di Dio, oltre che la nostra maggior forza, come dice Paolo che di esse si gloria, sono divenute la costatazione davanti agli uomini che la nostra è Opera di Dio”[4].