Chi risponde offrendo la propria vita a Dio, è chiamato ad una relazione tra contemplazione e azione, in equilibrio, essendo nel mondo ma non del mondo.

Chi risponde offrendo la propria vita a Dio, è chiamato a una comunione più profonda con Lui e con i fratelli. Un dialogo, di relazione tra contemplazione e azione, in equilibrio, essendo nel mondo ma non del mondo (cfr. Gv 15,15.17;11,16-18). Il modo totalitario con cui il focolarino e la focolarina realizzano questa risposta, caratterizza, con un’incidenza generale, lo stile laico del vivere quotidiano, senza una veste o un convento che in qualche modo li separerebbe dal mondo. Coniugano l’essere tutti di Dio, come dei conventuali, e lo stare in mezzo al mondo, propriamente come laici. Quel che Chiara scrive in una nota meditazione della seconda metà degli anni ’50, bene esprime questa realtà: penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo.

Comprendendo che tutto può essere vissuto con la stessa sacralità compiendo la volontà di Dio che le diverse circostanze manifestano, già da ragazza, Chiara desidera vivere ogni giornata, la vita, tutta spesa per Dio. E, nella loro varietà, i diversi aspetti della vita vengono concepiti come legati dal filo d’oro dello stesso Amore di cui sono espressione.

Nel diario del 1967, riferendosi alla vita in focolare, Chiara scrive: quello che dobbiamo fare è amare Dio. A Lui tutto il nostro essere, il nostro tempo, il nostro lavoro, il nostro amore, il nostro intelletto, tutto. E per esprimere ciò è doveroso riversare l’amore anche sulle creature, lo dobbiamo fare per Lui, per continuare ad amare Lui. Noi dobbiamo essere dei contemplativi perenni. Quanto manchiamo! E quale libertà troveremmo in questo solo grande unico amore. Come al solo pensarci ci si sente liberare da mille lacci che la vita in società con altri ci pone. No, noi dobbiamo solo amare. “Che importa? (dicevamo a tutto quanto poteva esserci o succederci) AmarTi importa!” Sì, così, questa è la volontà di Dio su noi[1].

Ogni azione viene così ad unificarsi, non uniformata l’una all’altra, ma armonizzata, come i colori dell’iride, tutti luce, in cui si rifrange la luce bianca che attraversa una goccia d’acqua. Perché ogni aspetto della vita, sostenuto dalla stessa luce che è l’amore, esprime, anche se in maniera diversa, con differenti colorazioni, una medesima luce. Come sotto ogni colore dell’iride, c’è tutta la luce, espressa in rosso, arancio, giallo, ecc. così sotto ogni aspetto c’è tutta l’intera vita, espressa in quel determinato modo[2].

Note

  1. [1]

    Chiara Lubich, diario del 31 maggio 1967

  2. [2]

    Chiara Lubich, ad un gruppo di focolarini e focolarine, Milano 13 aprile 1955

Riferimenti bibliografici