Castelgandolfo, 27 settembre 2015
Nel contesto della presentazione del libro Paolo VI e Chiara Lubich La profezia di una Chiesa che si fa dialogo, il giornalista di Radio Vaticana Alessandro De Carolis ha offerto una efficace sintesi dei contributi presentati nel libro e della novità di esso.
Testo Intervento
I contributi del volume “Paolo VI e Chiara Lubich – La profezia di una Chiesa che si fa dialogo” descrivono dal loro specifico punto di vista (storico, teologico, giuridico ecc…) la storia dello straordinario rapporto, potremmo dire, tra un padre e una figlia. Tra un padre lungimirante e dal cuore aperto e una figlia ispirata e insieme fedele e tenace.
L’incontro tra Giovanni Battista Montini/Paolo VI e Chiara Lubich avviene in un preciso scenario quello in cui da tempo sta salendo alla ribalta nella Chiesa una figura praticamente fino ad allora rimasta sullo sfondo, indefinita: il laico.
Già dall’Ottocento e più ancora nel XX secolo – mentre la Chiesa riscopre la portata sociale della sua missione – la fisionomia del laicato muta profondamente: non più come in passato un gruppo elitario, spesso notabili affiancati all’aristocrazia dell’altare, ma persone di varia estrazione sociale via via più consapevoli di poter fare della propria fede uno stile di vita e di testimonianza cristiana lì dove a un laico è più congeniale: in mezzo alla gente, in famiglia, al lavoro, nella vita pubblica.
Il laico “sconosciuto”
Tuttavia c’è una domanda che manca ancora di una risposta esauriente: ma chi è davvero il laico?
È interessante scoprire come il Codice di Diritto Canonico in vigore ai primi del Novecento definisca il laico “per esclusione”: il laico è un “non chierico”, cioè si è laici perché non si è preti. Si è laiche perché “non suore”, “non consacrate”… Insomma, il laico è una presenza nella Chiesa, ma senza un vero peso specifico.
Di tutt’altro peso è invece l’esperienza iniziata da Chiara Lubich che, partendo da quella particolare frase del Vangelo, del Testamento di Gesù, “Che tutti siano uno”, arriva a generare un corpo ovunque si diffonda: un corpo che vive di fraternità, di comunione, intende costruire il bene della Chiesa e della società in cui vive, aiuta a gettare ponti su fossati prima invalicabili tra le persone e persino tra diverse confessioni religiose, nel nome di un Ideale, quello dell’unità.
Risulta difficile quindi inquadrare in un Codice che semplicemente non lo prevede il dinamismo del neonato Movimento dei Focolari e le forme in cui esso si esprime. E infatti, la novità di questa compagine – le sue ramificazioni senza riscontri preesistenti – non viene compresa dai vertici ecclesiali, che avviano un’indagine non senza una certa diffidenza.
Una luce nella notte
È in questo periodo – che va dagli inizi del ’50 al 1964 – che il grido dell’Abbandonato che Chiara ha scoperto essere la radice profonda della vita del focolare diventa in certo modo eco di un suo grido silenzioso. È come se – in modo analogo a Dio Figlio che sulla croce per un istante di abissale dolore si sente abbandonato da Dio Padre – Chiara, figlia innamorata della Chiesa, si veda abbandonata da una Madre che non sembra intenzionata ad accoglierla.
In questo preciso arco temporale si inscrive la storia narrata dal volume del rapporto tra Giovanni Battista Montini e Chiara Lubich – sulla quale brilla per entrambi il faro della presenza di Igino Giordani, anello di congiunzione in quanto amico di vecchia data del futuro Papa e primo focolarino sposato.
È il giovane mons. Montini, sostituto della Segreteria di Stato vaticana, che nel febbraio del ’53 accetta di incontrare per due volte Chiara, che a sua volta più tardi annoterà: “Sentii in lui l’amore della Chiesa per noi”. È ancora mons. Montini che saggiamente suggerisce in quella fase di provvedere a stilare una regola che permetta ai vescovi una migliore comprensione della strada intrapresa da Chiara e dai suoi. E anche quando, divenuto arcivescovo di Milano nel ’54, i rapporti fra entrambi si allentano per i maggiori impegni del cardinale Montini, sarà sempre questi a prendere la parola in difesa dei focolarini nella cruciale Assemblea del 1960, quando gli esiti della lunga inchiesta condotta dal Sant’Uffizio sembrano propendere per lo scioglimento del Movimento. Fino ad arrivare, infine, al momento di svolta, il culmine che le pagine di questo libro documentano in modo palpitante: l’udienza privata che Chiara Lubich ha con l’uomo che ora le siede davanti in veste di Vicario di Cristo. È il 31 ottobre 1964 e la gioia di Chiara è immensa, come traspare dai suoi diari quando alla domanda ardita: “È contenta o no la Santità Vostra che io lavori?”, si sentirà rispondere da Paolo VI: “Sì, figliola, con tutto il cuore”.
I due giganti
Da qui comincia una nuova storia. Quella, ad esempio, che vedrà l’Opera di Maria divenire un canale privilegiato di Papa Montini per portare il suo incoraggiamento ai cristiani perseguitati dai regimi socialisti oltrecortina, altra pagina che il volume descrive con passione. O quando, negli anni della contestazione giovanile, Paolo VI incontrando più volte i Gen, i giovani del Movimento, ravviserà nel loro amore verso la Chiesa un “antidoto” alla deriva imboccata da altre forme di militanza giovanile.
Al termine del volume, il teologo Piero Coda mette in risalto quella che lui chiama la “convergenza luminosa e feconda” tra il “dono gerarchico” di Paolo VI e il “dono carismatico” di Chiara Lubich.
Il primo, “illuminato timoniere della Chiesa che col Vaticano II dà il via – sostiene – al cammino di una profonda riforma, nel solco del Vangelo di Gesù, della vita e della missione ecclesiale”.
E la seconda che, “in ascolto dello stesso Vangelo, mette a servizio di questa riforma la profezia sempre nuova dello Spirito Santo”.
Alessandro De Carolis