Oggi si lamentano pochi grandi artisti. Il motivo forse è che nel mondo ci sono pochi grandi uomini. Non si può a un dato momento lasciar giocare la fantasia staccata dal resto che è nell’uomo: non sarebbe più una dote perché cadrebbe nella vanità.
E non si può considerare l’uomo come non è, ma come è: un essere socievole.[1]
“Nel 1954 circa, è venuta l’idea, e noi l’abbiamo presa da Dio, che l’amore si manifesta in tante maniere. Come la luce s’infrange in sette colori nell’arcobaleno, così l’amore ha tante manifestazioni. Per esempio l’amore vuol mettere tutto in comune: mette in comune le cose spirituali e qualche volta anche quelle materiali. L’amore irradia: ecco l’apostolato, l’irradiazione dell’amore stesso. L’amore eleva, ecco che l’amore porta all’unione con Dio. Poi l’amore conserva: ecco lo sguardo che dobbiamo avere sulla nostra salute e quindi tutta la problematica della salute della malattia e della morte e la salute anche della natura, quindi anche l’ecologia, è un’espressione dell’amore. L’amore poi è armonia e quindi si cerca di far sì che anche l’ambiente che ci circonda, le case, le cittadelle, gli appartamenti, siano in armonia siano belli perché loro stessi testimonino l’unità che è altissima armonia”[2]. Alla luce del Carisma dell’Unità, la socialità, il radunarsi, gli ambienti che accolgono le persone, siano essi strutture o l’ambiente naturale stesso, manifestano un carattere proprio e la luce che sgorga dall’amore che tutto lega e mette in armonica relazione, assume il tono particolare della bellezza che è sinonimo di armonia. “Considerando: che essendo l’unità il suo carisma specifico, esso possa essere tradotto in altissima armonia, obiettivo e vera essenza dell’arte in tutte le sue manifestazioni”[3], viene conferito a Chiara Lubich, nel 2006, il Dottorato H.C. in Arte dell’Università “Universitad Catòlica Cecilio Acsota” di Maracaibo (Venezuela).
Dopo un anno intenso di incontri e relazioni, Chiara Lubich trasferitasi a Roma dal 1948, su consiglio medico deve fare un periodo di riposo. Nell’estate del 1949, si reca a Tonadico (Valle di Primiero), con alcune sue compagne, in una piccola baita ereditata da una di queste. Quell’estate apre un periodo illuminativo in cui in Chiara vede anche, nella luce che sgorga da una profonda relazione con Dio, il riflesso della vita del Cielo sulla terra. Chiara ritorna l’anno successivo e si uniscono a lei, per i dieci anni successivi, sempre più persone di genere, cultura, provenienza e vocazione diversa. Per una circostanza legata allo stato di salute di Chiara dunque, nasce un’esperienza di vacanza che negli anni acquista sempre più il connotato di una piccola città temporanea in cui la legge vissuta è quella del Vangelo. Presto quest’esperienza prenderà il nome di Mariapoli, città di Maria, fino al 1959. «Nell’estate del ’59 ci siamo radunati, e in cuor nostro, durante tutti e due i mesi dicevamo: questa è l’ultima Mariapoli. Era il Signore che ce lo faceva capire. Nel ’49 era stato un disegno meraviglioso, paradisiaco; nel ’59 questo disegno era diventato come il plastico della nuova società. Quando siamo scesi nel ’59 a Roma, abbiamo sempre avuto davanti questa visione: una città posta sul monte in modo che tutti la possano vedere, una lucerna messa nella casa in modo che tutti quelli della casa la possano guardare. Nel ’49 il disegno, nel ’59 il plastico. In un plastico però non si può vivere: dovevamo dunque realizzare questo plastico»[4]. Per periodi più o meno lunghi, dopo il 1959 l’esperienza della Mariapoli si ripete in diversi luoghi dei cinque continenti e nel 1964 a Loppiano (Italia), nasce la prima delle attuali cittadelle permanenti. Nella Motivazione del conferimento del Dottorato H.C. in scienze umanistiche dell’università “Sacred Heart University” a Fairfield in Connecticut (USA) si fa proprio riferimento all’istituzione di “40 centri di formazione e 19 ‘Mariapoli’, cittadelle-modello che sono scuola di vita e terreno di formazione all’unità”(5). Viene riconosciuto anche così il contributo culturale di un pensiero, preceduto dalla pratica, suscitata da circostanze concrete, che offre “una risposta all’umanità di oggi. È un collettivo, questo, che non schiaccia l’uomo, ma è costruito dall’uomo, che si dona, si offre per amore, liberamente. E nell’amore di Dio fra noi comincia a rispondere alle domande drammatiche della società. Ecco, infatti, le prime idee nuove, le prime realizzazioni […]. Così la spiritualità dell’unità porta l’umanità a riconoscersi famiglia, dove l’incarnarsi di essa nel sociale fa sì che i rapporti, le strutture, le leggi, incomincino ad essere quelli della famiglia dei figli di Dio”(6).