Settembre 1981

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Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,32)

Parola di vita di ottobre 1981

Il commento di Chiara Lubich a queste esigenti parole di Gesù a Pietro ci invitano a fare del perdono uno stile di vita, perché il male non abbia l’ultima parola. 

A chi parla Gesù con queste sue parole? Lo ricordi? Risponde a Pietro che, dopo aver ascoltato cose meravigliose dalla sua bocca, gli ha posto questa domanda: "Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? fino a sette volte?".

E Gesù: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Pietro, probabilmente, sotto l'influenza della predicazione del Maestro, aveva pensato di lanciarsi, buono e generoso com'era, nella sua nuova linea, facendo qualcosa di eccezionale: arrivando a perdonare fino a sette volte. Nel giudaismo, infatti, si ammetteva un perdono di due, tre volte, al massimo quattro.
Ma Gesù rispondendo: "... fino a settanta volte sette" dice che per lui il perdono deve essere illimitato: occorre perdonare sempre.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Questa parola fa ricordare il canto biblico di Lamech, un discendente di Adamo: "Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette". Così inizia il dilagare dell'odio nei rapporti fra gli uomini del mondo: è un mare che ingrossa come un fiume in piena.
A questo dilagare del male, Gesù oppone il perdono senza limite, incondizionato, capace di rompere il cerchio della violenza.
Il perdono è l'unica soluzione per arginare il disordine e aprire all'umanità un futuro che non sia l'autodistruzione.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Perdonare. Perdonare sempre. Il perdono non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà.
Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l'ha commesso. Il perdono non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male.
Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell'accogliere il fratello così com'è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all'offesa con l'offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci col bene il male".
Il perdono consiste nell'aprire a chi ti fa del torto la possibilità d'un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d'aver un avvenire in cui il male non abbia l'ultima parola.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Come farai allora a vivere questa Parola?
Essa è una risposta di Gesù a Pietro che aveva chiesto: "Quante volte dovrò perdonare a mio fratello?" "... a mio fratello".
Gesù, rispondendo, aveva di mira, dunque, soprattutto i rapporti fra cristiani, fra membri della stessa comunità.
È dunque prima di tutto con gli altri tuoi fratelli nella fede che devi comportarti così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o, se vi fai parte, nella tua comunità.
Lo sai come spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l'offesa subita. Sai come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sono frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene ricordati che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l'unità fra fratelli.
Avrai sempre la tendenza a pensare ai difetti dei tuoi fratelli, a ricordarti del loro passato, a volerli diversi da come sono... Occorre tu faccia l'abitudine di vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre e subito e fino in fondo, anche se non si pentono.
Dirai: "Ma ciò è difficile". Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla sei alla sequela di un Dio che, spegnendosi in croce, ha chiesto perdono a suo Padre per chi gli aveva dato la morte.
Coraggio. Inizia una vita così. Ti assicuro una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta.

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