Novembre 1949

MEDIA E ALLEGATI

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Essere uno col fratello

Trento, 1950

Chiara è invitata a dare conto di ciò che, sotto la sua spinta, aveva messo a rumore – con qualche sospetto, dubbio e accusa – il pacifico capoluogo trentino e già si estendeva alla penisola. Scrive quello che fu chiamato ‘il trattatello innocuo’, da cui è tratto il testo che segue

Esser uno col fratello voleva dire dimenticarsi assolutamente, per sempre. Non ritrovarsi mai più. Era perdere tutto anche la propria anima, per vivere i dolori e le gioie dell'altro onde mostrare a Gesù il nostro amore: esser crocefissi con Lui vivo nel fratello e con Lui esser gioiosi.
Il fratello era il nostro convento dove l’anima doveva sempre radunarsi. Il fratello era la nostra penitenza, le mortificazioni, perché l’amarlo richiedeva la morte completa dell’io...

E vedevamo che questo "entrare" nel fratello portava la rinascita del fratello. La carità sola conta. E così, sentendoci peccato col fratello peccatore, errore col fratello errante, fame col fratello affamato, scomunicato col fratello scomunicato, la Vita che era in noi passava a lui ed eravamo da lui riamati.
Egli rivedeva la Luce perché sentiva l'amore e nella luce la speranza, che allontanava la disperazione, e la carità verso noi e verso tutti. Lo Spirito di Gesù invadeva un altro membro del suo Mistico Corpo.
Era un riviver la Vita di Gesù. ContinuarLo. Come Lui s’è fatto uno con noi per portarci al Padre, tenebra con noi tenebre per darci la luce, peccato con noi peccatori , dolore con noi doloranti, morte con noi morti per darci la vita e farci risorgere con Lui risorto , così la nostra vita al contatto con ogni fratello che ci veniva accanto.
Farci lui, come Gesù, per far lui noi. Per donargli cioè quella pienezza di gaudio che la vita di comunità, nel mutuo amore, ci aveva dato.

(Da Erano i tempi di guerra, agli albori dell’Ideale dell’unità, Città Nuova, Roma 2007, p. 24-26.)

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