Novembre 1968

MEDIA E ALLEGATI

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Senza accettazione di persone

Roma, 1969

Ogni uomo, chiunque egli sia, è degno del nostro rispetto e della nostra confidenza

«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”...» (Gv 4,10).  
Gesù alla Samaritana non si attarda a rispondere riguardo ai litigi che esistono tra Giudei e Samaritani.
Il suo è un linguaggio che colpisce, che incanta, che trasporta dalla terra al Cielo.
Sembra che il cuore gli esca dal petto nel desiderio di dare il meglio che porta sulla terra: il dono di Dio.
Due sono le cose che vuol dare agli uomini: la grazia e la conoscenza di Colui che quest’«acqua viva» dona.

«Acqua viva»!  (Gv 4,10).  
È magnifico! Ci pensiamo? Un’acqua viva. Viva.  
È viva la vita in chiunque la vita conosce e possiede. Così è la grazia di Dio: è la vita dell’anima.
Gesù è fantastico! Quanto poco lo conosciamo se non leggiamo con amore il Vangelo.
Ci siamo fatti spesso di Lui un’immagine nostra, secondo qualche deteriore pietà tradizionale. Ma nel Vangelo appare com’è: Egli è Dio. Si rivela continuamente: Dio. Un Dio... che parla, che è stanco, che cammina, che ha discepoli... un Dio-Uomo! Ecco, così!  
E più sotto quella risposta!  
«Sono io, che parlo con te»  (Gv 4,26).  
Qui si rimane muti. Sì, Gesù non faceva accettazione di persone. L’uomo, chiunque egli sia, è profondamente degno del nostro rispetto e della nostra confidenza. Alla samaritana che ha tanti mariti e nemmeno uno è suo, Gesù si svela pienamente. E lo dice così divinamente bene, con la semplicità che solo Dio sa usare: «Sono io, che ti parlo». Io in carne ed ossa. Non un fantasma. Non un lontano. Io, qui.  
Oh! Gesù, avrei voluto vederti. I tuoi occhi, il tuo aspetto, il tuo comportamento, la tua nobiltà. Ma non c’è che attendere qualche anno e quindi sbrigare in fretta le faccende per il passaporto diretto verso il Cielo, pagando in anticipo sulla terra il Purgatorio.
Paradiso, Paradiso! Dammi, mio Dio, che questo sia sempre il mio anelito spontaneo. Quando così sarà, certo una grande mèta sarà raggiunta.

 Chiara Lubich

(Da: Saper perdere, Città Nuova, Roma 1969, pp. 81-83.)

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